MICHAIL J. LERMONTOV: “UN EROE DEL NOSTRO TEMPO”
Un nuovo appuntamento del Gruppo di Lettura!

MARTEDÌ, 16 MAGGIO 2017  - ORE 20.00

 
 

 

Martedì 16 maggio, alle ore 20.00, torna a riunirsi il Gruppo di Lettura! Presso la libreria AsSaggi, proseguono gli incontri del Circolo della Lettura “Barbara Cosentino” dedicati ai classici della letteratura russa. Protagonista di questo nuovo appuntamento sarà “Un eroe del nostro tempo”, il capolavoro in prosa di Michail J. Lermontov.

 
Non sa ancora che in una società come si deve, e in un libro come si deve, non c’è posto per l’ingiuria manifesta; che la cultura ha escogitato un’arma molto tagliente, pressoché invisibile e tuttavia mortale: sotto l’apparenza della lusinga, essa inferisce colpi ineluttabili e sicuri.
 

Michail Jur'evič Lermontov (1814–1841) considerato dalla critica letteraria un “mostro di genialità” che svetta fra tuttigli autori del Romanticismo russo, è stato poeta, drammaturgo e pittore. Era un militare di carriera, nato da famiglia spagnola, naturalizzata scozzese. Rimase orfano di madre a soli tre anni e fu cresciuto dalla nonna materna nella regione di Tarchany (oggi ridenominata Lermontov), in prossimità di Penza.
Nel 1818 viaggiò nel Caucaso, a Pjatigorsk, dove tornò spesso fra il 1820 e il 1825. In questi anni si appassionò alla lettura e mentre s’inebriava delle pagine di Byron, nemmeno quindicenne, cominciò egli stesso a sperimentare la scrittura. Nel 1828 fu ammesso dalla scuola privata Pensione Nobile (Blagorodnyj pansion pri moskovskom universitete) e scrisse“I circassi”, “Il prigioniero del Caucaso”, “Il corsaro”.
Nel 1830 si iscrisse all'Università di Mosca, che lasciò dopo soli due anni a causa della morte improvvisa del padre, ma anche perché si era reso fortemente inviso alle autorità accademiche per via della sua genialità irriverente. Si trasferì alla Scuola di Cavalleria della Guardia di Pietroburgo dove ebbe modo di arricchire la sua vena letteraria, evolvendo da una scrittura meramente introspettiva verso i temi folcloristici dei poemetti “Saska” e “Festa a Peterhof”. Scrisse in quei mesi un romanzo incentrato sul personaggio di Vadim, al seguito di Pugačëv e una poesia simbolica intitolata “La vela”.
Nel 1834 ottenne il grado di ufficiale degli Ussari della Guardia, a Carskoe Selo, mentre pubblicava tantissime altre poesie e il poema “Hadži Abrek”. Nel 1835 concluse il lavoro al dramma “Il ballo in maschera”, che fu rifiutato dalla censura, mentre l’anno seguente scrisse “Il boiaro Orša”, “Il gladiatore morente” e “Melodia ebraica”. Una sua poesia per la morte in duello di Aleksandr Puškin, intitolata “La morte del poeta”, venne giudicata sovversiva dallo zar Nicola I e ne provocò l’espulsione dalla Guardia e l’invio in un reggimento in linea sul Caucaso. Negli stessi mesi compose “Borodino”, “Il prigioniero”, “Il ramo di Palestina”. L’anno seguente, grazie alle intercessione della nonna, gli fu consentito di tornare a Pietroburgo, in un clima di venerazione come perseguitato e poeta. Al suo rientro completò diverse opere, tra cui “Il demone” - la sua composizione poetica più apprezzata, pubblicata soltanto postuma - e “Il novizio”, che è un racconto ambientato in Georgia.
Nel 1840 esce “Un eroe del nostro tempo”, il suo capolavoro in prosa, che desta subito grande interesse. Lermontov però cadde di nuovo in disgrazia presso le autorità per via di un duello con il figlio dell'ambasciatore francese, Ernest de Barante. Fu inviato ancora nel Caucaso, dove si distinse per atti di valore nella battaglia sul fiume Valerik, ma non ottenne di ritornare a Pietroburgo. Nell’aprile 1841 incontrò un vecchio compagni d’armi, Nikolj Martynov che lo stesso anno lo sfidò a duello per vendicare un’offesa ricevuta e lo uccise proprio negli stessi luoghi dove era ambientato il duello narrato nel suo romanzo “Un eroe del nostro tempo”.

 
Allontanandoci dalle convenzioni sociali e avvicinandoci alla natura diventiamo involontariamente fanciulli. Ogni sovrastruttura cade dall’anima, che ritorna a essere quella di un tempo, quella che certamente diventerò ancora.
 

Sa essere breve e cinico come Čechov, dipinge la natura come Turgenev e tratteggia le scene di vita militare come Tolstoj, si sofferma sugli aspetti criminali dell’agire come Dostoevskij ed esplode nell’humour di Gogol’: questo è Lermontov di “Un eroe del nostro tempo”. Opera contenente un’originale trasposizione romanzata di alcune vicende realmente vissute dall’autore e che si articola in cinque capitoli in ordine cronologico casuale, che si presentano come una successione di novelle, che ruotano intorno al protagonista. Fu pubblicato a puntate sugli Annali patrii nel 1839, che furono poi raccolte in un volume l’anno successivo.
In apertura richiama le atmosfere di un resoconto di viaggio, ma in seguito la trama prende il sopravvento, pur continuando a custodire un fascino delicatamente esotico. Il romanzo presenta tratti irripetibili di visionarietà, infatti il protagonista Pečorin muore in duello esattamente nel luogo in cui morirà l’Autore.
Interessante lo slittamento della voce narrante, con oscillazioni del passo fra la biografia e l’autobiografia. Il risultato è che il lettore conosce Pečorin pochissimo in prima persona, ma soprattutto attraverso gli altri personaggi. Ne risulta un giovane uomo pieno di contraddizioni e sfaccettature, intelligentissimo e senz’anima né cuore, il genere di persona che siamo portati ad odiare nella vita di tutti i giorni.
Eppure Pečorin è un protagonista perfetto. La continuità narrativa si manifesta soprattutto sotto il profilo psicologico, dai toni della biografia a quelli di una confessione, in cui si manifesta la deformazione operata dalla società dell’originario uomo buono. Trionfano alla fine il pessimismo e lo scetticismo, che alimentano lo spirito di vendetta.

 

Recensione di Giuseppe Grassonelli

La poetica di Lermontov s’ispira alla visione tragica della vita e, in ragione di ciò, si dispiega in una tensione continua verso la soluzione di ogni contrasto esistenziale, in un’ascesa verso quella realtà ideale e divina, in cui “l’anima stanca” potrà ritrovare “il suo angelo soave d’amore” e risentire di nuovo quel suo canto misterioso che è rimasto in essa sempre “vivo pur senza parola”.
Pubblicato nel 1840 dall’appena ventiseienne Michail Jur’evič Lermontov, “Un eroe del nostro tempo” è l’unica opera in prosa di questo Autore, consacrato da una morte precoce all’empireo dei poeti romantici. È composto da “cinque quadri immersi in un solo quadro”, in quanto ogni racconto presenta diverse esperienze vissute sempre da un medesimo personaggio, Pečorin, ma presentate da una diversa voce narrante. I racconti si sviluppano su piani temporali non sequenziali e con una struttura narrativa originale, “a imbuto” o “a tubo di cannocchiale”, che permette al lettore di avvicinarsi progressivamente al protagonista. Dapprima il racconto avviene in terza persona attraverso un narratore (il viaggiatore) che racconta la storia indirettamente e per interposta persona; poi attraverso un secondo narratore testimone oculare (Maksim Maksimyč); infine attraverso la forma del diario in prima persona, dallo stesso Pečorin, che tuttavia quando entra in scena la sua narrazione è già morto. Ma, del resto, la sua esistenza nel romanzo è sempre messa in discussione e resa oggetto di analisi chirurgica dal protagonista stesso.
Le istanze del suo profondo realismo ebbero la loro netta precisazione in questo romanzo, la cui prefazione ne definisce pienamente il contenuto:
È proprio un ritratto, ma non di un singolo uomo: è un ritratto composto con i vizi di tutta la nostra generazione nel loro pieno sviluppo”.
Esso rappresenta il primo esempio di romanzo psicologico russo ed ebbe un grande successo, non esente da critiche e polemiche, e una grande fortuna in Russia, dove nel disilluso tormentato ed egocentrico Pečorin si vide il più autentico fils du siècle, il più tipico rappresentante di quella gioventù “superflua” che nella stagnante Russia di Nicola I non trovava altra via d’uscita che l’indifferenze e l’estraniamento.
Nichilista, materialista amorale per una sorta di perversa premeditazione che lo porta ad agire intenzionalmente in modo scellerato ed egocentrico, egli è un antieroe ideale: il narratore in prima persona, che, dopo essere venuto in possesso del diario di Pečorin, decide di pubblicarne il contenuto in un volume di memorie, afferma di aver intenzionalmente scelto un titolo provocatorio come “Un eroe del nostro tempo” per ironizzare sul fatto che, in effetti, Pečorin non è per nulla un eroe. Straordinario nelle sue antivirtù, è tutt’altro che mediocre. Presenta, anzi, rovesciate, tutte le caratteristiche tipiche degli eroi, riuscendo a diventare “grande” nella sua cattiveria, nelle sue amarezze: dandy senza morale, vigliacco e indegno, si ribella vivacemente all’etichetta di modello positivo e in questa consapevolezza si crogiola, compiacendosi, tristemente, della propria indifferenza verso il mondo e verso gli altri. Nonostante ciò, Pečorin, in fondo, altro non è che un uomo di quel tempo e di questo nostro tempo pure: è la storia di un’anima umana, come l’autore stesso definì la sua opera, estremamente moderna, frutto come tutti gli uomini, da una parte di precise contingenze storiche e dall’altra di eventi particolari che gli sono occorsi nell’arco di una vita piena e avventurosa. Giovane e brillante ufficiale, di carattere freddo e sprezzante, incapace di qualsiasi azione veramente positiva, egli rappresenta in effetti l’archetipo di alcuni personaggi dei classici della letteratura romantica, decadente, realista, esistenzialista: la sua eredità si ritroverà nei decadenti Des Esseintes di Huysmans e Dorian Gray di Wilde, nell’esteta seduttore Johannes Kierkegaard, nel nichilista Stavrogin di Dostoevskij, nei Merseault e Clamence di Camus.
L’analisi psicologica dell’antieroe sconfitto, disilluso, cinico, emotivamente inaridito, che tuttavia risulta essere socialmente vincente e dannatamente affascinante per l’altro sesso, è tratteggiata in maniera lucida e ragguardevole allorché Pečorin afferma che questa era stata la sua sorte fin dalla prima infanzia, quando tutti dicevano di leggere sul suo viso delle supposte brutte qualità che non aveva. Il giudizio altrui aveva fatto nascere in lui quelle qualità e lo aveva indotto a chiudersi in una cascata di altri afflati negativi, mentre la sua metà buona si è atrofizzata ed è morta.
Per comprendere appieno i personaggi della storia, è tuttavia opportuno collocarli nella terra che essi popolano, nel caso specifico quel Caucaso che per i russi rappresentava la frontiera, il territorio selvaggio da conquistare, una sorta di deserto dei Tartari in cui il servizio militare era davvero una sfida, una possibilità di crescita e maturazione non priva di rischi, come si sente dire Pečorin da un altro personaggio:
Proprio così: vivi un anno intero senza vedere nessuno, se ci aggiungi la vodka, sei un uomo finito”.
È in questo ambiente in cui il selvaggio della natura si mescola al gusto della poesia e alla curiosità aristocratica che piomba l’uomo superfluo, Pečorin, il figlio di una generazione di mezzo, che ha perso le speranze di cambiamento nel mondo con la repressione dei Decabristi prima e con l’uccisione del loro campione Puškin poi.
Istintivamente mi colpì la tendenza dell’uomo russo di adattarsi alle abitudini della gente in mezzo alle quali gli accade di vivere. Non so se tale abitudine mentale sia degna di biasimo o di lode, ma essa sta a dimostrare l’incredibile pieghevolezza di lui e il possesso di quella chiara, sana concezione che perdona il male ovunque veda la sua necessità o l’impossibilità di annientarlo”.
La denuncia di Lermontov abbraccia la società tutta intera, dove apatia, senso di superiorità, fastidio per la gente comune e amoralità divengono una costante,fonte di successo a scapito delle vittime di turno:
Io odio gli uomini per evitare di sprezzarli, perché altrimenti la vita sarebbe una commedia troppo volgare (…) Io disprezzo le donne per evitare di amarle, perché altrimenti la vita sarebbe un melodramma troppo ridicolo”.
La noia diventa il punto dolente di un protagonista inquieto e tuttavia affascinante, le cui avventure galanti e i cui futili entusiasmi durano il tempo di una conquista. Pečorin si ritrova così, disincantato, cinico e disilluso. La vita diventa un qualcosa da rischiare, vincere o perdere, così come i sentimenti altrui, che egli tratta quali elementi di un gioco. È un uomo dalle passioni vuote, senza entusiasmo per il mondo, che sfida persino la morte. Morirà infatti fin troppo giovane, così come paradossalmente il suo Autore, lasciando al mondo solo le indimenticabili pagine del suo diario.

Giuseppe Grassonelli - Milano, 10 maggio 2017

 
Molti fiumi tranquilli cominciano con cascate fragorose, ma nessuno precipita spumeggiando fino al mare.
 

L’incontro, realizzato con la collaborazione della Libreria AsSaggi, è aperto a tutti i Lettori che vorranno partecipare, previa prenotazione obbligatoria, con prelazione dei Soci.
Il Circolo della Lettura ‘Barbara Cosentino’ vi invita ad intervenire numerosi, per condividere, ancora una volta, la passione per la letteratura e la lettura!

 

Libreria AsSaggi

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